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Esecuzione pena detentiva e illegittimità Costituzionale dell’art. 656 V comma c.p.p

Corte Costituzionale Sentenza n. 41 del 2018

Esecuzione pena detentiva e illegittimità Costituzionale art. 656 V comma c.p.p.
Corte Costituzionale Sentenza n. 41 del 2018
Articolo a cura dell’avv. Gaia Li Causi

corte costituzionale

E’ incostituzionale il comma 5° dell’art. 656 c.p.p. “nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni”.

Questo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 41 del 2.03.2018. Pertanto, pure chi deve scontare una pena, anche residua, fino a quattro anni di detenzione ha diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione al fine di richiedere l’affidamento in prova c.d. allargato.

Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Lecce, chiamato a decidere su una domanda volta alla declaratoria di inefficacia di un ordine di esecuzione di una pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni di reclusione, che il pubblico ministero aveva emesso in base all’art.656, comma 1 c.p.p., senza sospenderlo, perché la pena da scontare eccedeva il limite di tre anni fissato dal 5° comma del medesimo articolo.

Il rimettente chiedeva, pertanto, che il limite cui era subordinata l’automatica sospensione dell’ordine di esecuzione fosse elevato a quattro anni di detenzione, così da ripristinare il parallelismo tra esso ed il tetto previsto per l’accesso all’affidamento in prova allargato.

Parallelismo” – così come definito dalla stessa Corte Costituzionale in sentenza – tra sospensione della esecuzione della pena e facoltà di accedere all’affidamento in prova allargato che era stato già delineato in sede di delega sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, ove si prevedeva una modifica dell’art. 656 c.p.p.

Infatti, come precisato con la sentenza in commento “[…] nel caso di specie all’introduzione dell’affidamento in prova per pene da espiare fino a quattro anni di detenzione non ha corrisposto un’analoga modificazione del termine indicato dalla disposizione censurata. Infatti non è stata ancora esercitata la delega legislativa conferita con l’art. 1, comma 85, lettera c), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), il quale prevede che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato, in ogni caso, in quattro anni.”.

[…]Sotto questo aspetto non può non osservarsi che nel caso di specie la rottura del parallelismo, imputabile al mancato adeguamento della disposizione censurata, appare di particolare gravità, perché è proprio il modo con cui la legge ha configurato l’affidamento in prova allargato che reclama, quale corollario, la corrispondente sospensione dell’ordine di esecuzione”.

Ciò premesso, secondo il giudice rimettente, l’omesso adeguamento del limite quantitativo di pena previsto dall’art. 656 c.p.p. a quello indicato ai fini dell’affidamento in prova allargato, “determinerebbe un disallineamento sistematico, frutto di un mancato raccordo tra norme”, e sarebbe lesivo anzitutto dell’art. 3 Cost., in quanto darebbe luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, discriminando “ingiustificatamente coloro che possono essere ammessi alla misura alternativa perché debbono espiare una pena detentiva non superiore a quattro anni, da coloro che, potendo godere dell’affidamento in prova relativo a una pena detentiva non superiore a tre anni, ottengono la sospensione automatica dell’ordine di esecuzione”.

I Giudici della Consulta rigettano, poi, quanto osservato dell’Avvocatura dello Stato secondo cui “l’affidamento allargato sarebbe precipuamente indirizzato a chi è già detenuto, al fine di ridurre la popolazione carceraria per ottemperare a quanto deciso dalla Corte europea dei diritto dell’uomo”.

A sostegno della propria tesi la Corte Costituzionale in primis richiama l’art. 47, comma 3 bis, L. 354/1975, che si rivolge “espressamente anche ai condannati che si trovano in stato di libertà, senza alcuna distinzione di rilevanza rispetto ai detenuti”, in secundis rileva come la scelta di introdurre l’inciso “anche residua” va a confermare che “la misura è destinata pure a chi non deve espiare una pena residua e cioè a chi non è detenuto”.

Tutto ciò considerato i Giudici della Consulta concludono, quindi, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’5° comma dell’art. 656 c.p.p., osservando che “Mancando di elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato, il legislatore non è incorso in un mero difetto di coordinamento, ma ha leso l’art. 3 della Costituzione. Si è infatti derogato al principio del parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato”.

Testo della sentenza Consulta 41-2018

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