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La Cassazione si pronuncia sulla Legge Pinto per i Processi Tributari

Suprema Corte di Cassazione – Sezione II Civile
Sentenza 16 maggio – 21 agosto 2012, n. 32909

La Cassazione si pronuncia sulla Legge Pinto per i processi tributari

La Cassazione ha trattato la questione relativa all’applicazione della Legge Pinto nell’ambito dei processi tributari e, come al solito, ne ha approfittato per esprimere un importante principio di diritto.

La fattispecie analizzata riguardava una lite durata oltre sette anni. Ritenendo eccessivo questo lasso di tempo il contribuente si rivolgeva alla Corte d’Appello al fine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale.

I giudici territoriali davano ragione all’uomo e gli accordavano un risarcimento di circa 4 mila euro. Tale decisione veniva impugnata innanzi ai Giudici di Piazza Cavour da parte del Ministero delle Finanze.
Gli ermellini hanno accolto il ricorso cassando senza rinvio il decreto impugnato.

Da questa vicenda (in questo articolo sommariamente rappresentata) la Suprema Corte precisa che considerando “meritevoli dì tutela i diritti e i doveri di “carattere civile” di ogni persona, e non le obbligazioni di natura pubblicistica, laddove non sia estensibile il campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione alle controversie tra il cittadino e il fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi (stante l’estraneità ed irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile), ciò nondimeno non può affermarsi in assoluto che tutte le controversie portate all’attenzione del giudice tributario rimangano estranee alla possibile applicazione della tutela di cui alla legge n. 89 del 2001, in quanto potrebbero rientrarvi le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche, o anche le pretese tributarie dell’amministrazione qualora siano connesse a sanzioni, che in questo caso sono suscettibili di rientrare nella seconda parte del paragrafo 1 dell’art. 6 della Convenzione”.

In sostanza, con la sentenza n. 32909 del 21 agosto 2012, la Corte ha osservato che nel caso in cui i Giudici Tributari tardano più del dovuto nel prendere le decisioni in materia di rimborso d’imposta (e sanzioni), il contribuente potrà ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale ma non è prevista alcuna equa riparazione nel caso in cui la lite fiscale è generata da un problema sull’accertamento.

Testo della Sentenza 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI-1 CIVILE

Sentenza 12 luglio – 24 settembre 2012,n. 16212

(Presidente Salmè – Relatore Di Palma)

Fatto e diritto

Ritenuto che il Ministro dell’economia e delle finanze, con ricorso del 19 ottobre 2010, ha impugnato per cassazione -deducendo un unico articolato motivo di censura -, nei confronti di M. M., il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 8 giugno 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 -, nella contumacia del Ministro dell’economia e delle finanze, ha condannato il convenuto a pagare alla ricorrente la somma di € 4.000,00, a titolo di equa riparazione, oltre gli interessi dalla domanda al saldo, condannandolo altresì alle spese;

che M. M., benché ritualmente intimata, non si è costituita né ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 27 novembre 2006, era fondata sui seguenti fatti: a) la M., con ricorso del 18 ottobre 1995, aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Ravenna per impugnare un avviso di accertamento del locale Ufficio del registro concernente la rettifica del valore di un immobile assoggettato ad In.v.im.; b) la Commissione adita aveva pronunciato sentenza il 10 aprile 1997; c) la Commissione tributaria regionale di Bologna, adita dall’Ufficio, aveva definito il giudizio con sentenza del 24 maggio 2001; d) pendeva ricorso per cassazione al momento della proposizione della domanda dì equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in sette anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in quattro anni ed ha liquidato equitativamente, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di € 4.000,00, calcolata sulla base di € 1.000,00 per ogni anno di ritardo;

che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Considerato che, con il motivo di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i giudici a quibus non hanno considerato che i ritardi nella definizione del processo tributario non sono valutabili ai fini dell’equa riparazione;

che la censura è fondata;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, per individuare l’area di applicazione della disciplina del diritto all’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole del processo, previsto dall’art. 2 della legge n. 89 del 2001, occorre tener conto delle indicazioni emergenti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, alle quali il giudice interno deve conformarsi, attesa la coincidenza dell’area di operatività dell’equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001 con l’area delle garanzie assicurate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: in particolare, poiché La Corte considera meritevoli dì tale speciale tutela i diritti e i doveri di “carattere civile” di ogni persona, e non le obbligazioni di natura pubblicistica, laddove non sia estensibile il campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione alle controversie tra il cittadino e il fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi (stante l’estraneità ed irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile), ciò nondimeno non può affermarsi in assoluto che tutte le controversie portate all’attenzione del giudice tributario rimangano estranee alla possibile applicazione della tutela di cui alla legge n. 89 del 2001, in quanto potrebbero rientrarvi le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche, o anche le pretese tributarie dell’amministrazione qualora siano connesse a sanzioni, che in questo caso sono suscettibili di rientrare nella seconda parte del paragrafo 1 dell’art. 6 della Convenzione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 13657 del 2007 e 2371 del 2001);

che, nella specie, è pacifico che il giudice tributario è stato adito dalla M. per contestare un avviso di accertamento dell’Ufficio del registro di Ravenna concernente la rettifica del valore di un immobile assoggettato ad In.v.im., per contestare cioè un provvedimento impositivo;

che, dunque, il processo tributario presupposto de quo è estraneo all’ambito di applicazione della legge n. 89 del 2001;

che, pertanto, il decreto impugnato – pronunciato in palese violazione dei suddetti e qui ribaditi principi di diritto – deve essere annullato senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, secondo periodo, cod.proc.civ. , perché la causa non poteva essere proposta;

che, tenuto conto della contumacia del Ministro dell’economia e delle finanze nel giudizio dì merito, non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del precedente grado del giudizio;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il decreto impugnato e condanna M. M. alle spese, che liquida, per il giudizio di legittimità, in complessivi € 600,CC, oltre alle spese prenotate a debito.

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